Spesso sono le nostre letture a definirci; o perlomeno a forgiare quella che Proust chiamava “la vita vera”, ossia la vita intellettuale (a proposito: Proust e l’adorazione perpetua di Giovanni Cacciavillani è un’ottima introduzione alla Recherche, l’ho letta il mese scorso).

Allora, cosa ho letto di bello nel 2019? Non tutto quel che ho letto è bello e merita di essere menzionato, ma alcune cose sì.

Ho iniziato l’anno scoprendo, come molti, il fascino della tetralogia dell’Amica geniale di Elena Ferrante, che mi ha completamente rapito durante i giorni di festa. Un’opera corale, importante, coraggiosa, in cui, come in ogni buon romanzo – come ci ha insegnato Giacomo Debenedetti – si mescola lirica ed epica, intimismo e analisi sociale. C’è il romanzo di formazione, la volontà di essere accettati in una cerchia sociale diversa da quella di appartenenza, il continuo richiamo delle origini, le illusioni e le disillusioni dell’amore e del successo, il chiaroscuro di Napoli. Ho poi recuperato tutto il resto della produzione di Ferrante, che non mi è sembrata, nel complesso, all’altezza (forse con l’eccezione de I giorni dell’abbandono, che però non brilla di originalità). Mi sono piaciuti molto più i saggi raccolti ne La frantumaglia, dove ci sono alcuni passi davvero belli, soprattutto su Napoli e la sua difficile conciliazione con la modernità.

Ho cercato anche di recuperare un po’ di classici italiani. Ma non mi hanno entusiasmato né Lessico famigliare di Natalia Ginzburg (comunque una piacevole compagnia) né L’isola di Arturo di Elsa Morante (su cui invece ho faticato a lungo), mentre non ho ancora avuto modo di leggere La storia che invece ha letto mia madre e che ha giudicato uno dei romanzi più belli che abbia letto. Emozionante invece Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani.

Sul fronte della storia, ho letto con molta soddisfazione La forza del destino di Christopher Duggan, una storia dell’Italia moderna, a partire dall’esperienza napoleonica fino agni anni recenti. Un’Italia mai sentita propria dagli italiani, nata con una fusione a freddo destinata a lasciare cicatrici mai rimarginate (la guerra civile post-unitaria nel sud), in perenne ricerca di vittorie militari per poter celebrare la propria Sedan, che fu poi trovata tardivamente nel modesto successo di Vittorio Veneto, nel 1918 (ma prima vennero Caporetto, Amba Alagi, Adua, Lissa, Custoza), con il risultato che la nazione italiana venne di fatto edificata dal fascismo, cosicché oggi ci portiamo dietro un’eredità nefasta, una concezione nazionale avvelenata da imperialismo e xenofobia, sorgente del sovranismo contemporaneo. Un’inaspettata scoperta è stata Robespierre politico e mistico di Henri Guillemin, che non è un vero e proprio storico, ma dopo essere stato deluso dalle tante biografie, anche le più recenti, su Robespierre, quest’opera non nuovissima mi sembra la più godibile e tutto sommato rigorosa biografia dell’Incorruttibile. Menzione anche per la bella biografia Eleonora Pimentel Fonseca di Antonella Orefice, nella collana “Profili” delle edizioni Salerno, che è anche un testo importante su tutto il contesto della rivoluzione napoletana del 1799. Godibilissimo Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg, opera degli anni Settanta riproposta da Adelphi, che mi sembra abbia anticipato tutti gli attuali studi sull’influenza della letteratura popolare, per esempio quelli di Robert Darnton. Magistrale e monumentale, infine, Il peccato e la paura di Jean Delumeau, di cui già avevo letto con piacere il suo La paura in occidente: oltre 1000 pagine sovraccariche di citazioni dai testi più disparati per ricostruire quella che lui chiama “la pastorale della paura”, che la Chiesa costruì a partire dal Trecento, sotto la spinta degli ordini monastici prima e di quelli mendicanti poi, e che si consolidò poi negli anni della Controriforma, sostituendo al messaggio originale del cristianesimo (la “pastorale della misericordia” riscoperta solo in anni recenti) un messaggio di paura e di morte che nulla aveva a che vedere con la fede religiosa.

Non ho dimenticato la fisica: La scienza di Interstellar di Kip Thorne non è stato all’altezza delle aspettative, ma saltando qua e là alcuni capitoli, soprattutto quelli più avanzati nella parte finale, danno soddisfazione (per es. le sue idee sulla gravità quantistica, i wormhole e l’interno dei buchi neri). Bellissima scoperta è stato invece Filosofia della natura di Michael Esfeld, una rigorosa ma accessibile introduzione alla filosofia della fisica contemporanea in lingua italiana (l’unico altro libro accessibile, ma in inglese, è quello di Rickles, The Philosophy of Physics; gli italiani, invece, lasciano spesso a desiderare in quanto a comprensibilità). Inquietanti azioni a distanza di George Musser è senz’altro una delle migliori letture dell’anno: una storia brillante e aggiornata dell’entanglement quantistico (
(secondo la recente proposta ER = EPR, c’è un collegamento tra entanglement quantistico e ponti di Einstein-Rosen, tipo quelli usati in Insterstellar…).

Mi sono interessato molto della vicenda Napoli, leggendo, tra gli altri titoli non meritevoli di citazione, soprattutto l’Intervista sulla storia di Napoli di Giuseppe Galasso condotta da Percy Allum, testo invece fondamentale, perlomeno come introduzione.

Ho apprezzato moltissimo il tanto discusso Max Fox dello storico Sergio Luzzatto (di cui conosco le pregevoli opere sulla Rivoluzione francese), dedicato al “predatore” della biblioteca dei Girolamini, il truffatore, bibliofilo e antiquario Massimo De Caro: ne ho parlato su Quaderni d’Altri Tempi. Menzione speciale anche per La stella nera di Gary Lachman, su “magia e potere nell’era di Trump”: infognandosi nei bassifondi di 4chan, 8chan e Reddit per capire com’è nato il fenomeno dell’alt-right che ha trasformato un meme di Donald Trump con la faccia da rana nel 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, Lachman si è imbattuto in teorie mistiche e tecno-gnostiche che risalgono alla chaos magick di Aleister Crowley e giù giù fino all’antroposofia. Il risultato è un viaggio inquietante nel sottobosco politico-intellettuale (si fa per dire) dei sovranismi contemporanei, impregnato di complottismo e intossicato di pillole rosse al punto da non riuscire più a distinguere la realtà dalla finzione. 

Sul versante della fantascienza ho letto molto poco. È stato bello ritornare alla narrativa di Ursula K. Le Guin grazie a Ritrovato e perduto, raccolta ragionata dei suoi racconti, di cui ho parlato qui.

Molto buono La nostra invenzione finale di James Barrat, di cui ho parlato su Esquire. Un testo sui rischi dell’intelligenza artificiale, che ha aperto il filone poi affrontato da Nick Bostrom e Max Tegmark. Di piacevole lettura anche Vivere con i robot di Paul Dumouchel, saggio sull’empatia artificiale di cui ho scritto qui. Scorrevole ma non originale invece Tecnologia vs. umanità di Gerd Lehonard.

Ho continuato ad approfondire C.S. Lewis, leggendo tra l’altro L’allegoria d’amore, bellissimo ma impegnativo studio sui topos romantici della letteratura medievale, e l’eccellente L’immagina scartata, purtroppo solo in lingua inglese (l’edizione italiana è introvabile), forse la migliore introduzione alla cosmologia medievale.

Sul versante “teologico”, ho letto Sulla vita di Tolstoj, che non mi ha convinto (e sì che ho apprezzato pressoché tutto di Tolstoj), mentre mi ha molto colpito Escatologia occidentale di Jacob Taubes, un’analisi del pensiero escatologico letto in chiave religiosa (l’autore è stato, oltre che filosofo, rabbino ebreo). Da segnalare l’ottimo saggio di Marco Politi La solitudine di Francesco, sulla crescente opposizione (clericale e sovranista) al pontificato bergogliano, per il quale invece provo grande rispetto. Questo testo mi ha condotto ad approfondire i temi del Concilio Vaticano II. Già in passato avevo letto alcuni testi sull’argomento, un po’ troppo per addetti ai lavori e scritti piuttosto male per farmi un’idea chiara sull’argomento. Ho invece recuperato grazie a due testi molto agili e ben scritti, guarda caso non da italiani (sigh), ossia Il Concilio Vaticano II di Philippe Chenaux (Carocci) e Cos’è successo al Vaticano II? di John W. O’Malley (Vita&Pensiero), fondamentali per capire la storia recente della Chiesa, che di fatto origina dalle spaccature interne al Concilio e soprattutto dai due diversi orientamenti ermeneutici applicati successivamente alla comprensione dei testi conciliari.

Ho cercato di approcciare Hegel partendo da un testo “eretico” quale Hegel teologo di Vito Mancuso, a mio parere una splendida introduzione ai temi religiosi della filosofia hegeliana (ho cercato di proseguire l’approfondimento della produzione mancusiana, trovandola tuttavia molto modesta, e ho lasciato perdere dopo altri due titoli). Ho iniziato con determinazione e soddisfazione la Fenomenologia dello spirito, ma poi inevitabilmente l’ho lasciata cadere distolto da altre urgenze; ho comunque recuperato altri testi hegeliani e spero prima o poi di riprenderne lo studio. È andata meglio con Simone Weil, di cui ho letto i primi due Quaderni. Una bella esperienza di lettura che permette di entrare nel “cantiere” del pensiero weiliano e riscoprirne aspetti passati in secondo piano, per esempio la sua filosofia della scienza e della matematica, alcuni discorsi interessanti su quella che oggi definiamo “divulgazione scientifica”, e un costante tentativo di tenere legati impegno razionale ed esperienza di fede (bellissima la frase: “Noi sappiamo per mezzo dell’intelligenza che ciò che l’intelligenza non afferra è più reale di ciò che essa afferra”).

Sempre sul versante filosofico, ho letto finalmente Il principio responsabilità di Hans Jonas, opera fondamentale per capire il presente e orientare il futuro, benché scritta negli anni Settanta; ho recuperato La fine del mondo di Ernesto De Martino, di cui all’università avevo letto le opere più famose, trovandola una lettura molto originale ma anche faticosa per lo stato del tutto provvisorio degli scritti, interrotti dalla morte di De Martino (peraltro un’edizione più leggibile è stata edita alla fine di quest’anno da Einaudi, ma ormai i miei soldi li ho già spesi). Ho approfondito Timothy Morton, di cui già avevo apprezzato Iperoggetti, con Noi, esseri ecologici, un po’ banale, e sempre sul versante dell’ontologia orientata agli oggetti ho letto The Quadruple Object di Graham Harman, interessante ma troppo postmoderno per i miei gusti. Meglio sicuramente Reale e virtuale di Tomas Maldonado, riflessioni sulla società virtuale scritte prima del “boom” e che appaiono nondimeno molto attuali. Da segnalare anche l’esordio di Selenia Anastasi con il suo saggio Verificare di essere umani, originale introduzione ai temi filosofici del transumanesimo.

Trecanni ha lanciato quest’anno la sua collana Visioni, intuizione brillante con una superba scelta di titoli. Ho letto i primi tre, ossia Il nostro futuro di Martin Rees (autore a cui sono molto affezionato), Quattro modelli di futuro di Peter Frase (che volevo leggere già in originale), e La Terra, la storia e noi di Christophe Bonneuil e Jean-Baptiste Fressoz. Ne ho parlato diffusamente su Quaderni d’Altri Tempi quindi vi rimando lì per gli approfondimenti del caso.

Tra le altre letture da menzionare, la bella Guida all’immaginario nerd a cura di Fabrizio Venerandi (Odoya), letta dopo aver recuperato le tre stagioni di Stranger Things e quindi con l’intenzione di ricostruire la genealogia del nerdismo (che ho frequentato solo lateralmente); i libri di Donna Haraway Le promesse dei mostri e Chthulucene, di cui ho parlato in quest’articolo; mentre un discorso a parte merita Il libro di tutti i libri di Roberto Calasso, superba rilettura in chiave calassiana dell’Antico Testamento. Ritorna in questo libro il tema del sacrificio, che attraversa buona parte dell’opera di Calasso, e che lo studioso cerca di interpretare rileggendo i principali riferimenti al tema del sacrificio presenti nella Bibbia e strettamente intrecciati con la ritualità ebraica (si ricordi che nel Tempio di Gerusalemme si praticavano i sacrifici animali, pratica interrotta e abbandonata dopo la distruzione del Secondo Tempio e sostituita poi dalla liturgia attuale). Ci sarebbe molto da dire ma non è questo lo spazio per farlo e poi si spera che Calasso pubblichi presto un testo analogo sul Nuovo Testamento.  

Ah, quest’anno ho letto per la prima volta integralmente proprio il Nuovo Testamento. Era anche ora.